Descrizione
Da Tecla e le altre, prefazione di Paola Zan
Quando una storia d’amore finisce è molto probabile che le sue appiccicose scorie si trasformino in un substrato ricco e, in fondo, utile ad alimentare il desiderio-necessità di scriverne. La penna lucida di Tecla Terazzi sceglie la forma poetica.
Ne scrive per cristallizzare il sacro vissuto, che risulterà finalmente osservabile con respiro calmo e quel sano distacco, raggiunto nel massimo rispetto di sé e in totale trasparenza. Ne scrive per alleggerire il carico di sofferenza, ma soprattutto per riposizionarsi nel mondo dopo lo spaesamento dovuto alla perdita. La lettura dei suoi versi lascia la netta sensazione di percorrere insieme a lei, ancora giovane studiosa del linguaggio dei sentimenti, quel sentiero della memoria recente recentissima che diventa luce da intrecciare prefigurandosi il compimento di una densa consapevole variegata vita futura. Riaffiorano splendide, anche per analogia, le parole di Nadia Campana, lontana ma sempre presente:
“[…] trafittura e ragione che perfora la testa ma non lascia / mai al buio. Con i capelli scogliera mobile che non si / possono dividere in due masse divergenti correre, attaccare […] la notte come cento giorni di viaggio – / o una mano che puntava / una sicurezza e un dubbio insieme appoggiati a un sorriso […]”
E ancora, come se vedesse, in questa Storia Nera, proprio lui:
“un cranio bestiale / lo chiudo con un braccio spostando / appena l’asse del corpo – / facendogli credere che era distrazione, / […] /già sospesa ripiego / oscuramente, perché sono tornata? […]”
E gli apparentamenti letterari, senza forzatura alcuna, ci dicono perché la poesia unisce: è limpida rievocazione e chiarissima novità senza tempo. È individualità e vicinanza. È vita continua.
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