Descrizione
Un lungo viaggio verso la conoscenza di sé stessa
Così Massimo Moraldi nella Prefazione:
Maddalena Capalbi issa finalmente le vele e parte per un lungo periglioso viaggio che la porterà verso la sua meta più ambita: la conoscenza di sé stessa.
[…]
Capalbi maneggia l’italiano come una slitta leggera e affilata che corre veloce sul manto bianco che copre i vasti prati d’inverno: la poesia della tradizione intramontabile; uno scafo che solca l’immenso mare d’estate con la dolce spinta di un aliseo: la necessaria sperimentazione. Non la fermano le stagioni, perché ne ha sempre una da narrare: qui lo fa con una tecnica molto raffinata, anche se il titolo della silloge induce a pensare a cruente evoluzioni di operatori in camice bianco e grembiulone, con sfumature rosso horror, su quarti di carne che non hanno più nobiltà, se non nel ricordo della mitica sacerdotessa Io che Zeus innamorato e protettivo trasforma in giovenca. E la cura non sarà minore. Il corpus poetico è non solo quantitativamente importante ma si impone per il suo stesso taglio, che valorizza e rende unitario il tutto anche al di fuori della “macelleria”, cui l’autrice volontariamente si assoggetta, rifilando col massimo rigore i suoi versi.
Paola Zan mette l’accento invece su
come Maddalena Capalbi, in questa silloge, generi, tra lei ‘integra’ e il suo frammentato vissuto, una superficie di contatto sfaccettata fatta di specchi che riverberano, di immagini peculiari e puntuali, infinite scintille di sensitività. I suoi versi sciolti imbrigliano e conducono il lettore per binari insospettati all’acme del senso e della sensualità, rivelando grande impegno nella ricerca di sé, e non solo (dalla Postfazione).
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