Descrizione
Come scrive Chiara Zanellato nella sua Parole dipinte. Antiche armonie su presenti emozioni
Vincenzo De Cunzolo il poeta degli affetti e delle sonore nostalgie, di quel mondo trattenuto dall’infanzia “…umile minuscolo tappeto di muschio…”, come lui stesso ama definire la sua terra lucana, si frappone quale ponte fra un passato ancora presente e un presente che confida nel futuro affrontando in questa terza raccolta temi nuovi, attuali, autentici, dolorosi. Un viaggio che tocca punte di eleganza emotiva: “Muto/ mi ritrovo lieve,/dolore e amore dissolti…”
[…]
La “fragile terra” lucana, bacino di condensati ricordi, si accompagna ad una più matura e dilatata narrazione del mondo in cui, attraverso giochi allegorici e dissonanze, il poeta rivela il segreto canto della notte, la vitalità dell’acqua, il suono ambrato del dolore.
L’aria, l’acqua, la terra, il fuoco sono gli elementi che scandiscono il tempo in questa raccolta, attorno ad essi il poeta compone, senza sapere, tracce, malinconici incontri, ferite profonde (“Nutre,/ l’innocente soldato,/ la terra d’issòpo/ di familiari ricordi./ Polveri mortifere,/ elmi accatastati,/ libertà pericolo che suona”), che in questa animata narrazione di eventi trovano pace: “Filari di oleandri/ bianchi e rosa accolgono/ l’alba nuova./ Dal mare/ lungo la costa/ illumina la rotta./ Onde alte allontanano/ malinconie”. Le parole che danno voce alla poesia sono le stesse che ne definiscono i lineamenti e i colori, dando luogo alla costruzione di immagini in continua trasformazione in quanto frutto di elaborazioni personali. Pensieri che risuonano in poesie che si prestano ad una lettura “allungata”, che riesce a toccare e a riconoscere concretamente le cose narrate: “Il gelo in silenzio/ rivestì ogni minuscolo ramo,/ dolce nemico,/ la difese dalla fredda notte/ cadendo come zucchero/ nel buio argenteo./…”, “L’aurora rompe i sigilli/ della notte/ china in silenzio/ si apre al mistero/ della luce.”, “…Lontane dalle palme/ grezze vesti/ rovesciano radici./…”.
Caterina Furlan nelle sue note di chiusura mette invece in evidenza che
Per chi non fa il letterato di professione è difficile districarsi nel complesso labirinto di concetti e di immagini evocati nelle poesie di De Cunzolo, che apparentemente non sembrano seguire un ordine logico o una sequenza dalla quale sia possibile estrapolare una storia o il dipanarsi di una vicenda. Di conseguenza, per dare un senso alla mia lettura, o meglio, per cercare di capire il messaggio affidato dall’autore ai suoi versi, mi sono trovata costretta a disaggregare la raccolta e a ricomporla per gruppi tematici. Si tratta ovviamente di un raggruppamento del tutto arbitrario e personale, che tuttavia mi ha permesso di penetrare nel mondo poetico di De Cunzolo: un’ombra affiorata da un passato lontano e oggi un amico ritrovato, un medico del corpo e
dell’anima, che con la sua vitalità ed esuberanza ha saputo regalarmi alcuni momenti di quella “gioia” a cui accennavo poc’anzi.
[…]
Tra tutte, la più bella e rivelatrice della sua sensibilità e del senso di pietas che egli prova non solo per sé stesso, ma anche nei confronti del genere umano e della sua fragilità, è costituita – a mio avviso – da quella ispirata al carcere femminile della Giudecca, le cui inferriate sono fiorite di rose, prigioniere del loro profumo, così come prigioniere sono le donne rin-chiuse nell’antico ricovero destinato alle prostitute che intendevano abbandonare il peccaminoso mestiere: “Abitano rose/ all’interno di sbarre/ prigioniere del loro profumo,/ avide di luce/ nel giorno in lutto turbate dalla luna”.
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Giacomo Rolma –
Complimenti di cuore al mio carissimo amico e fratello spirituale Vincenzo De Cunzolo che con una raccolta di liriche neo-gozzaniane e appassionate, ”L’orologio segna tempo perso” sta conseguendo importanti riconoscimenti. A breve ne scriverò, è un volume intendo che merita di stare tra i classici e di essere consumato da letture e riletture, come i veri capolavori.
Giacomo Rolma, luglio 2022