Descrizione
Falsificazioni cinesi
L’esposizione è riferita alla ricerca dell’autrice sul tema della scrittura cinese. Muovendo dalla condizione di verosimiglianza, Rigo realizza una mimesi percettiva tra il suo gesto pittografico e il calligrafico proprio degli ideogrammi. Il rimando semantico è veicolato ingannevolmente da ciò che riteniamo, nella nostra esperienza visiva, “scrittura orientale”, rappresentando, invece, corpi (animali, feti) o gesti puri. In tal guisa si realizza uno scarto di senso nelle connotazioni proprie della stessa immagine.
La mostra segue le iniziative già avviate da Elisa Simionato, nel suo spazio “illimitè”, dove si sono susseguite le esposizioni dedicate ad Alberta Vita, Luigi Voltolina, Raffaella Campolieti, Alberto Deppieri, Antonio Sarto ed Antonio Lovison.
Sul lavoro di costruzione di una mimesi che Floriana Rigo opera, Paolo Pavan scrive:
“Il mimetico è presente ovviamente nel comportamento umano: il miglior ritratto contemporaneo della condizione imitativa è quello che ne dà W. Allen in “Zelig” dove il protagonista assume i caratteri fisiognomici e comportamentali dei soggetti a lui prossimi.
Mimetico e falsificato valgono a pieno titolo per l’universo delle merci: basti pensare a come il melamminico permetta l’imitazione di infinite varietà di superfici di arredo, oppure alle contraffazioni di prodotti di alto profilo tecnologico o digitale, ormai indistinguibili dagli originali, che scardinano il mondo dei brevetti e delle royalties. Standards industriali e metodi seriali.
In questo gli orientali sono diventati maestri. E allora cosa c’è di più interessante di diventarne “discepoli”? Porsi in ascolto di coloro che hanno subito il primato produttivo dell’Occidente e che ora lo subissano delle sue stesse merci, è un atto di saggezza.
Su questa strada si è incamminata Floriana Rigo, che attinge alla cultura cinese antica e alla Cina moderna. Partendo dalla pratica del taichichuan e dallo studio di ideogrammi sta sviluppando sapienza calligrafica e la misura di un gesto che muova con rapidità e lentezza il pennello.
Le sue pittografie risultano di primo acchito assolutamente cinesi (e in un certo senso lo sono). Il supporto materiale è carta di riso, la strumentazione comprende pennelli ed inchiostri originali, incluse le deviazioni del caso. L’uso compositivo è coerente. La buona tecnica è indispensabile, da sempre, nel falsario.
Solo che i pittogrammi composti dall’autrice rimandano a qualcosa di diverso dal linguaggio cinese. Ciò che l’Autrice presenta nel ciclo delle “falsificazioni” sono figure (corpi, animali, feti, paesaggi…), presentando gesti puri. Si giunge così ad un paradosso ontologico: quando scopriamo che il pittogramma percepito tale non è, ne riconosciamo la verità (l’autorità) di nuovo pittogramma. Il processo rappresentativo è tuttavia l’opposto del processo di astrazione proprio alla scrittura cinese: dal disegno mimetico alla stilizzazione nell’ideogramma. Rigo passa dall’idea di un gesto articolato, più che da un ideogramma, a un segno che si fa mimetico suo malgrado.”
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