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Abstract
L’armonia, come la bellezza, sono termini pressoché scomparsi dal dizionario dell’architetto, sostituiti dalla meraviglia, troppo spesso prodotta da eccitanti figure o landmarks.
Recuperare una concezione basata sul rispecchiamento in terra, nel microcosmo, degli ordini numerici pitagorici rinvenuti nelle stelle, oggi non è certo utile, né necessario. Nondimeno, armonia e bellezza non possono essere espunte dall’orizzonte del progetto architettonico, pena l’irrilevanza dell’architetto, condizione che sempre più si diffonde nel nostro tempo. La responsabilità della attuale condizione, al netto delle pressioni prodotte in questa direzione dal sistema economico, rimane sulle spalle degli architetti. E’ loro il compito di riformulare una proposta che rimetta il disegno dello spazio costruito come elemento vivo e necessario per la vita. Questo passaggio richiede il riposizionamento al centro del vuoto architettonico, dello spazio immaginato e costruito un soggetto troppo spesso assente, negletto, nel fare e pensare l’architettura: l’uomo. Fare questo oggi, in modo del tutto nuovo, è possibile. Gli sviluppi delle neuroscienze, dagli anni 90 in poi, ci permettono di ricostruire un nuovo rapporto tra il sistema corpo/cervello e l’ambiente esperito. E’, in altri termini, possibile realizzare uno spazio adatto all’uso, profondamente capace di assistere l’uomo e le sue azioni nel quotidiano.
Il progetto deve rendere armoniche le attese dell’uomo, mentre vive una determinata esperienza, con i segnali emessi dallo stesso sistema architettonico. La bellezza è la concordia, meglio la ricostruita armonia tra l’esperienza umana e la forma dello spazio che l’accoglie.
Secondo questa ipotesi, i segnali trasmessi dall’ambiente architettonico dovrebbero indurre la simulazione incarnata di un determinato movimento del corpo. Quando ciò accade, la memoria stratificata delle precedenti esperienze, dello stesso movimento del corpo, è in grado di far riemergere e rivivere un’emozione, la cui consapevolezza si consolida in un sentimento.
L’essenza di ogni esperienza (ascoltare, partire, incontrare, etc) si può, così, tradurre in un sentimento. La percezione interiore della concordia tra le attese più recondite e i segnali che arrivano dall’ambiente, nel quale siamo accolti, produce un’intensità più senso di benessere profondo: o forse, semplicemente, una nuova forma della bellezza.