Scalza ma attrezzata, prefazione di Paola Zan:
Se non fosse grande nei passaggi emotivi fulminei, questa silloge non ci sarebbe. Sono petali dipinti su carta velina soffiati via. Sono aliti, sbuffi, anima da condividere.
Con Spoletini cresce all’interno della collana Parole sul Territorio la poesia intimista. Tanta è la dolorosa materia interiore prodotta, che nemmeno le variopinte pennellate – cartoline di viaggio, paravento e respiro – riescono a stemperare.
Nulla distoglie dal motivo centrale di questo lavoro: la ricerca di un asse nell’assenza.
Nulla parrebbe sollevare dalla sofferenza.
La sua forza sta proprio nella spontanea autodenuncia. Una sorta di corrosione affettiva l’attanaglia. Ma un lungo allenamento psicologico l’accompagna alla consapevolezza. E la visione della realtà nella sua chiarezza è una provvidenziale sciabolata di luce che ferendo cura.
Queste sono le pagine migliori che l’autrice potesse donare. Perché si scrive per sé stessi, ma anche per gli altri, specchio del nostro profondo disagio e delle repentine volatili gioie. Sentiamo il bisogno, vivo e bruciante, che ci venga restituita importanza per la missione che ci siamo dati, assumendoci un mare di responsabilità, e per la densità dell’impegno profuso: dolenti, in fondo, restiamo sempre un po’ in attesa di conferme e approvazione.
Pace, amore e solidarietà: così si potrebbe sintetizzare l’esortazione summa che scaturisce da questi accorati componimenti di Patrizia Spoletini, proiezioni continue e necessarie di sé avviata, scalza, ma sempre più attrezzata, sulla strada di un inarrestabile processo di sviluppi creativi futuri.
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L’ikigai di Patrizia, postfazione di Anna Genovese:
I versi di Scalzissima sono un invito alla schiettezza e alla nuda sincerità. Sono un’originale fusione di realismo e simbolismo, lì dove parole e termini del quotidiano si arricchiscono di una valenza metaforica e ideale. Così l’indaco si appiccica alla pelle, il pescatore lento annoda silenzioso la rete, le foglie sono smucchiate a testimoniare un amore stinto, le mollette sul filo senza panni diventano virgole ai punti stellati, il filo da ricamo che va risparmiato, come diceva la nonna, è simbolo di fiducia nell’avvenire da misurare e calcolare.
Cosa dire della luna, paragonata a una radiografia controluce, da sempre ispiratrice di sogni, verità, poesia? Allo stesso modo la libertà è sensazione tra le sfumature di un pensiero che evapora come l’acqua che bolle in pentola. La sintesi tra reale e ideale emerge con convinzione nei versi di Verità, dove pozzanghere e stradine di campagna offrono la possibilità di uno spiraglio per ricordare schegge del passato, ma la carrucola di montaliana memoria cigola inevitabilmente nel pozzo dei ricordi. Una consapevole lettura di questi versi, che spesso richiamano i grandi della poesia italiana del Novecento, rivela in altre poesie, come in Cristofora, una figura di donna che replica il sacrificio di Cristo e che diventa emblema della capacità di abnegazione di tutte le donne del mondo. In Scalzissima risulta particolarmente originale il richiamo all’Allegria di naufragi di Ungaretti: il poeta ritrova tra tremolii d’acqua la stagione dell’allegria.
Due le linee principali della raccolta: il tema della natura umanizzata e il tema del ricordo. L’umanizzazione della natura si realizza attraverso sinestesie, anafore, ardite metafore come i papaveri dalle bocche dischiuse per il piacere di vividi orgasmi, o le radici della quercia, trasformate in Tillsandia, pianta il cui nome significa “Figlia dell’aria”, o l’albero che in prima persona parla di sé a un generico “tu”, o ancora i girasoli che dormono, o i grilli che cantano la ninna nanna. Il tema del ricordo è poi costante nella maggior parte dei componimenti. Sulla scia di Proust, l’autrice apre la strada ai ricordi attraverso occasioni che la realtà casualmente le offre: uno spicchio di luna, le fughe di ogni piastrella, gli spiragli delle tapparelle, ogni aspetto della realtà apre l’accesso memoriale per recuperare il passato e per raccontare il misterioso e segreto senso della vita. Un ultimo accenno alla presenza in molte poesie di piante rare, di cui l’autrice si serve per esprimere sensazioni e pensieri: l’indaco, simbolo di spiritualità, la jacaranda, il cui odore si diffonde per le vie di Casablanca, la tillsandia, figlia dell’aria, le zagare, dal profumo intenso e inebriante e ancora il gingko, che in giapponese è albicocco d’argento. Ebbene, si ha la sensazione che odori e colori possano alleviare un dolore passato o presente, che siano emblema di vita o di morte, stabilendo un rapporto diretto tra essere umano e natura. Per concludere, sembra che solo poesia e amore siano il vero ikigai dell’autrice, ovvero l’unica ragione per cui vivere.
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