ACQUE NASCOSTE, di Marco Maffei
Lungo il canale di San Massimo
Patavium
Le nostre acque cittadine le abbiamo trattate male. Riflettiamoci: appena sembra che non servano, subito infilate in un tubo e via, una bella e spaziosa strada sopra.
Oggi qualche volta non sappiamo nemmeno dove siano, qualche volta il nome lo suggerisce, tipo Riviera dei Ponti romani, che non è una riviera e di Ponti romani ce n’è uno sottoterra.
Anche chi gira per gli ospedali ha sotto di sé un corso d’acqua: il Canale San Massimo, un pezzo della storia della città, ma non lo immagina nemmeno. Canale San Massimo è l’ultimo nome che Padova gli ha dato, ma solo da una parte, che dietro l’Ospedale vecchio verso Pontecorvo era il Canale dei Gesuiti. Nelle mappe a metà Ottocento, era il Canale delle Gradelle di San Massimo, ma all’inizio di quel secolo chi disegna quelle del Catasto scrive Fiume Bacchiglione … .
E non aveva tutti i torti. Erano tremila anni che il Bacchiglione scorreva lì, attraversando la Patavium romana e la città più antica; un fiume di tutto rispetto, per attraversarlo ponte San Lorenzo ha cinquanta metri di carreggiata su quattro arcate, un alveo largo come lo Scaricatore oggi
Tra la riva sinistra del Bacchiglione e a cavallo della via che va ad Altino (oggi le vie Belzoni e Ognissanti), per secoli i padovani, dai Paleoveneti e fino agli ultimi anni dell’Impero romano, seppelliscono i loro defunti.
Le mura medievali
La strada è importante, ma il fiume molto di più: da allora e fino al 1200 (quando i Padovani scavano il Piovego) era l’unica “ferrovia” e “autostrada” per arrivare al mare, dove passa il commercio e soprattutto si trova il sale; senza il sale non si fanno i salumi, la carne non si conserva, cosa disdicevole soprattutto quando non si hanno frigoriferi.
Un’autostrada talmente importante che i Vicentini si ingegnano a chiuderla bloccando le acque a Longare, se niente niente iniziano una guerra con i nostri medievali antenati.
Il Bacchiglione difende gran parte della città: il Comune medievale realizza il primo anello di mura lungo le rive, (quelle che restano lungo le Riviere tra Specola e Corso Milano). Poi una seconda cerchia, protegge un poco alla volta i sobborghi.
Si arriva al 1370 e Francesco il Vecchio da Carrara ne fa costruire una terza, che lo costeggia lungo via San Massimo e arriva più o meno dove ora ci sono le Gradelle di San Massimo, lì Bacchiglione e Piovego sono più vicini e c’è il vecchio “Portello” il porto più importante della città.
La cinta rinascimentale
Queste mura di San Massimo resistono quasi un secolo e mezzo, fino a che inizia una campagna militare di quelle fatte bene: siamo all’inizio del Cinquecento e Massimiliano d’Austria scende in Italia e assedia Padova.
I cannoni e le mura medievali non vanno molto d’accordo, così Andrea Gritti, che ha riconquistato Padova e si prepara all’assedio, con la consulenza di Fra’ Giocondo inizia ad abbassarle e realizza i primi bastioni, soprattutto dove l’esercito imperiale avrebbe attaccato.
Che in quel momento lo abbia fatto anche nella zona di San Massimo e Ognissanti non lo sappiamo con precisione, comunque Massimiliano non riesce a cavare il ragno dal buco, e lo Stato Veneto è salvo.
Passata la guerra, i veneziani chiamano i migliori esperti a disposizione e iniziano a costruire una tra le più lunghe cerchie di mura d’Italia: più di 11 km fra terrapieni, 19 bastioni e 7 porte.
Le nuove mura sono un sistema complesso: nel cinquecento non te la cavi con una semplice cinta alta e resistente. Per reggere alle cannonate serve uno spesso muro in pietra e mattoni affacciato sulla fossa e all’interno un terrapieno: tra camminamento in quota e scarpata una trentina di metri abbondanti, e poi la strada di circonvallazione e infine una fascia interna senza edifici. Ma non era finita: all’esterno una fossa, la strada di circonvallazione esterna e la larga fascia di terreno spianato, il “guasto”.
Le nuove mura non si possono costruire al posto di quelle esistenti, per realizzarle a regola d’arte non c’è abbastanza spazio, le case sono troppo vicine e quindi ci si sposta all’esterno.
Un militare, Bartolomeo D’Alviano e un grande architetto, Michele Sanmicheli, sono incaricati di progettare il tratto dalle Gradelle San Massimo a Pontecorvo, con tutto il sistema di strade terrapieni e fosse, tutto realizzato cento metri a sud del Bacchiglione, dove oggi il bastione Cornaro sovrasta le fosse lungo via Gattamelata.
Per fortuna dei Padovani, da allora in poi le mura agli eserciti non servono, niente assedii, niente difesa sugli spalti, ci pascolano le pecore, si piantano gelsi, ma restano libere da costruzioni.
Un area senza, o con mille destinazioni
Un secolo e mezzo fa lo Stato vende al Comune tutta la cerchia, e queste mura che servivano solo da cinta daziaria piano piano sono aperte, spianate, si popolano: si popolano di case, scuole, Giardini pubblici e, tra il Bacchiglione e i terrapieni da Pontecorvo a San Massimo prima il nuovo Macello oltre via Cornaro, mentre al di qua delle abitazioni e poi a poco a poco, il nuovo Ospedale.
Si inizia negli anni Trenta, proprio sopra il bastione Cornaro con un grande padiglione per curare la Tubercolosi, poi a cavallo degli anni Sessanta inizia la costruzione del complesso che conosciamo.
Un Ospedale nuovo, moderno, alto, grande, vivo. L’area è vasta, dentro e fuori le mura, ma serve spazio, sempre più spazio: dove si trova posto, dove si vede uno spazio utilizzabile, si copre, si spiana, si scava, si costruisce, e le mura non servono, i terrapieni sono inutili e il Bacchiglione, scusate il Canale San Massimo, toglie spazio, lo si copre … non c’è spazio per questo vecchiume, il vecchiume infastidisce, il nuovo avanza.
Nuovi scenari
Sono passati più di cinquanta anni, sta per nascere altrove un Ospedale moderno, oggi questa zona potrebbe cambiare e diventare parte di un magnifico, sì magnifico sogno: realizzare un grande parco che ci parli della nostra storia, il Parco delle Mura e delle acque.
Ora ci siamo noi. Non ci sono i nostri padri o i nostri nonni. Siamo cambiati? Vogliamo rimettere a posto e rendere più bella, sì, più bella la nostra città? Vogliamo restaurare la nostra memoria?
Questa la sfida. Si può fare, basta volerlo, per lasciare ai nostri figli una città migliore.
Note bibliografiche:
Mura medievali di Padova: guida alla scoperta delle difese comunali e carraresi. A cura di Ugo Fadini. Vicenza, 2017.
Le mura ritrovate: fortificazioni di Padova in età comunale e carrarese. A cura di Adriano Verdi, Padova, 2011.
Le Muraglie vecchie di Padova, di Adriano Verdi. Tratto da: I luoghi dei Carraresi, a cura di Davide Banzato e Francesca d’Arcais. Treviso, 2006.
La prima Padova: le necropoli di Palazzo Emo Capodilista-Tabacchi e di via Tiepolo-Via San Massimo tra il 9. e l’8. secolo a.C. A cura di Mariolina Gamba, Giovanna Gambacurta, Angela Ruta Serafini. Venezia, 2014.
La necropoli paleoveneta di via Tiepolo a Padova: un intervento archeologico nella città. A cura di Angela Ruta Serafini, Este, 1990.
Ghironi, Silvano: Padova: piante e vedute. Padova, 1988
Testo di Marco Maffei (architetto e storico, si occupa di ricerche archivistiche, analisi e relazioni su strutture territoriali. Svolge attività di ricerca e pubblicistica in ambito locale, con particolare attenzione al periodo tra l’Unità d’Italia e la Prima Guerra Mondiale).
Padova, 20 aprile 2020
Assetto antico.
Il ponte di San Lorenzo (foto scattata durante i lavori di costruzione della nuova ala universitaria, 1938).
Vincenzo Squarcione (attr.) fine sec. XV. BeB fine sec. XV
Sezione tipo del fronte bastionato delle mura cinquecentesche.