Massimo Moraldi legge con attenzione Filastrocca Sciocca e Farlocca Gratta Gratta ci s’imbrocca
e con cura, approfondimento e arguzia scrive una intensa e amorevole nota su questa prima silloge di Paola Zan. Grazie Massimo!
In cuore abbiamo tutti un cavaliere pieno di coraggio,
pronto a rimettersi sempre in viaggio.
Sono versi tratti dalla poesia Don Chisciotte, di Gianni Rodari.
No, perbacco: ho preso la strada sbagliata! Ma quale celebrazione di Gianni Rodari!
Il cavaliere pieno di coraggio, pronto sempre a mettersi in viaggio, magari dallo splendore di un’estate romana al Parco Botanico di Trastevere fino all’ombra gotica di un Duomo che dicesi finito (io ho ancora qualche dubbio in proposito, sia detto tra noi) è tra le righe delle “improrogabili iiiterazioooni!” nelle PECULIARITÀ con le quali Paola Zan chiude questa FILASTROCCA.
Ma che voglia di quinari mi viene!
Guai a chi tocca
la filastrocca
per niente sciocca,
manco farlocca.
Ci metto bocca?
Sotto a chi tocca!
Dunque diamo a Paola quel ch’è di Paola e bando alle ciance rimate!
Tanto per dare seguito all’orgia geografica che accompagna svariate composizioni, come Mobilità sostenibile a colori, Migranti, Turismo di massa, 24 luglio, presenti nella silloge (sarà arcaico lemma, editore carissimo, but sounds good!), partiamo da Omegna, Piemonte. Lasciamoci alle spalle i pur argentei riflessi del Cusio e le preziose riflessioni rodariane sul futuro dei bambini e andiamo a Bologna: all’ombra delle Due Torri imbracciamo l’arco magico di Paola, che invece fa riflettere i grandi, e scagliamo la freccia del “fanciullino” pascoliano che, in definitiva, è in ognuno di noi. È anche in buona compagnia, il Vate della decadenza poetica dello Stivale: lo afferma anche il redivivo Socrate nel dialogo platonico Fedone, rivolgendosi a Cebes Tebano che ne piange la morte.
E chi è il massimo esponente dell’ars te ipsum speculandi? Ma è lo specchio in persona, accidenti! E Paola Zan fa da specchio a chi si immerge nella lettura di questi rintocchi a festa che, metrica permettendo (o anche non permettendo, Paola può … ebbene può!), sonando, si attaccano come baci di bimba profumati di coppetta alla panna appena gustata.
Gioca con le parole, come in Sinestesie e in Po’ e sia! (nell’orto). Superbo il gioco verbale allo specchio in Parola. Ma il gioco è bello se dura poco. E spazio quindi alla capacità introspettiva fortemente simbolista di Ho conosciuto un vedovo.
All’Anticonsumismo nei versi apodittici in cui dubbio non alberga, come in I ricchi, dove lascia l’amaro in bocca prendere atto che i ricchi son ricchi … E io cosa sono?.
Alla celebrazione della poesia in Arriva arriva la poesia e Poesia urlata al bosco.
Alla bieca attualità dei vizi alimentari, e non solo, visto che Paola castigat ridendo mores, rifacendo il verso all’insigne latinista Jean de Santeul, in Cibo amico, I vizi cambiano e L’acqua e le labbra. Le odi arrivano compatte in un terzetto che ne dà la dispettosa testimonianza.
Spazio, quindi, anche al dramma interiore di Carceri. Alla lirica dolente di Un pugno di sabbia, in cui la bimba dentro Paola scherza con la morte, a quella nostalgica di Bimbo, ricordi e, soprattutto, a quella tattile di Animale umano, un vero e proprio carme che aspetta la traduzione nella lingua degli Antichi Padri per far conoscere alla bambina Paola Zan l’ebbrezza delle prime cotte liceali. Magari cantando con gli altri … che so … Balla Linda … Ma che importa se poi ci ritroviamo a cantare insieme Balla Maura, forse meno sognante, ma decisamente più … terrena?
Il gioco più intrigante di Paola è però quello “linguistico”, in cui si fa avanti a spallate con la sua “ferraresità”, ponendosi a confronto con l’italiano in forza della sua usta … ma sì, Paola … vogliamo chiamarla “resilienza”?
Last, but not least, l’obiettiva, ma spietata analisi della condizione femminile, come nell’epica Eva altrove, nella scolastica Salve, Prof. e nell’avvincente intervista a Vergine e Loy (che cinico destino per quella mela stregata!). Ma l’ironia, il sapersi mettere in gioco ad ogni piè sospinto hanno la meglio, e la poesia eroina eponima della raccolta lo insegna a chiare lettere: E sono i maschi con le poche, ottuse schiave / a restare fermi al tempo … delle cave. / Sono le madri oggi la chiave di volta / della Storia e anche della Svolta!.
Uffa! Paola Zan mi ha ripreso di nuovo la mano con i quinari …
Fila la rocca,
gratta e ritocca,
ci si balocca,
non ci si arrocca.
Freccia si scocca
e ci s’imbrocca!
Grazie, Paola. Anch’io, come te, voglio sentirmi come quella volta (da Superba empatia a tratti). Certamente non sono così infante da non vedermi sì decisamente attempato, ma quest’oggi mi sento anch’io un po’ bambino, visto che «È dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi… ma lagrime ancora e tripudi suoi». Giovanni Pascoli dixit.
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